Le sfide ambientali

Il futuro degli oceani: una sfida ambientale, con un impatto economico

Il 71% della superficie del nostro pianeta è occupato da mari e oceani. Se l’attività umana si concentra essenzialmente sulle terre emerse, questi 360 milioni di chilometri quadrati di acqua svolgono un ruolo vitale per gli esseri umani e, più che mai, per le loro attività economiche. Cibo, energia, risorse minerarie, trasporto di merci… la posta in gioco è enorme. Di fronte alla crisi climatica in atto, preservare i nostri oceani sarà una sfida importante per gli anni a venire.

Pubblicato il 08 aprile 2021

cpram
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Le ultime spedizioni spaziali ce lo ricordano: l’acqua è la condizione primaria per la vita. Metà dell’ossigeno che respiriamo proviene direttamente dagli oceani1, che contengono il 97% dell’acqua presente sulla Terra. Immagazzinando il 93% del carbonio del nostro pianeta2, gli oceani sono il più grande alleato dell’umanità nella lotta contro il cambiamento climatico.

Oggi, gli oceani si trovano ad affrontare una serie di pericoli, il più grande è l’aumento della loro acidità, come risultato diretto dell’aumento delle temperature del mare. La riduzione del pH ha conseguenze drammatiche sugli ecosistemi marini, in quanto limita la capacità di riproduzione del plancton. Anche l’inquinamento da plastica è nel mirino. Bottiglie, imballaggi, cannucce, sacchetti… circa 13 milioni di tonnellate di plastica si riversano ogni anno nei mari3. E se le immagini di spiagge coperte di detriti attirano i riflettori, il 90% del volume dei rifiuti nell’oceano è costituito da micro-plastiche, invisibili a occhio nudo. Infine, anche la pesca intensiva rappresenta una grave minaccia: un terzo degli stock ittici di tutto il mondo viene sovrasfruttato, un altro terzo è sfruttato fino al limite massimo, mentre il 20% del pescato globale proviene da pesca illegale, non dichiarata o non regolamentata4.

Una grande sfida economica

Al di là dell’impatto diretto sugli abitanti del pianeta e sugli ecosistemi, queste minacce hanno importanti ripercussioni economiche, per una semplice ragione: gran parte dell’attività economica mondiale dipende dagli oceani, direttamente o indirettamente. Trasporti, pesca, risorse energetiche, turismo, telecomunicazioni, solo per citarne alcuni. Nel rapporto ‘L’economia dell’Oceano nel 2030’5, l’OCSE stima che le attività marittime contribuiscano all’economia mondiale per 1.500 miliardi di dollari. L’analisi ha inoltre messo in evidenza l’elevato potenziale di crescita del settore, citando in particolare ambiti quali le energie rinnovabili, le costruzioni navali e le biotecnologie.

Un altro dato rivelante è che il trasporto marittimo rappresenta attualmente il 90% del commercio internazionale6“Con 12 miliardi di tonnellate di merci trasportate da circa 50.000 navi mercantili, il traffico marittimo è quasi raddoppiato in 20 anni”, afferma Paul Tourret, Direttore dell’Istituto Superiore di Economia Marittima (Isemar). Paul Tourret spiega questo fenomeno con la forte crescita economica globale: “Lo sviluppo di numerosi paesi come la Cina, ma anche la Turchia, il Vietnam e il Marocco ha provocato un aumento del traffico di merci, in particolare per il trasporto di merci verso i paesi d’origine delle aziende, la cui produzione è stata delocalizzata”.

Quantificare i rischi che l’inquinamento marino rappresenta per l’economia è un esercizio difficile – in particolare a causa della mancanza di dati di riferimento, vale a dire se si escludesse la presenza di inquinamento. Ma come ha evidenziato il ‘Marine Pollution Bulletin’ nel maggio 20197 i rifiuti di plastica nei mari, in particolare, rappresentano miliardi di dollari di perdite di fatturato globale. Si stima che i servizi forniti dagli ecosistemi marini nel 2011 abbiano creato benefici per la società per un valore pari a 50.000 miliardi di dollari l’anno. Attraverso la ‘Convenzione sulla diversità biologica’ le Nazioni Unite hanno stimato che il costo globale dei rifiuti marini sia pari almeno a 13 miliardi di dollari8.

Regolamentazione, informazione e responsabilità collettiva

Di fronte all’urgenza della situazione, si stanno introducendo contromisure concrete. L’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (SDG) 14 è dedicato all’acqua e ha l’ambizione di “Conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile.” L’Unione europea ha iniziato ad adottare misure concrete per limitare l’inquinamento degli oceani, in particolare riguardo alla plastica. Dal 2021 sono vietate le posate, le cannucce e i piatti di plastica monouso. Gli Stati membri dovranno raggiungere l’obiettivo di raccolta del 90% delle bottiglie di plastica entro il 2029 e le bottiglie di plastica prodotte dovranno essere composte per almeno il 25% da materiale riciclato entro il 2025 e per il 30% entro il 2030.

Come fare per cambiare rotta? Catherine Chabaud, cofondatrice della piattaforma ‘Oceani e Clima’ e prima donna ad aver completato il giro del mondo in barca a vela, chiede un approccio globale, una politica marittima integrata9. In pratica, ciò significa mettere in campo una serie di iniziative, come rendere le persone consapevoli delle proprie responsabilità, innovare il trasporto marittimo (a vela), promuovere tecniche di pesca più sostenibili, fornire infrastrutture marine con un impatto positivo (per esempio, la creazione di barriere artificiali da strutture sommerse) e la preservazione delle mangrovie. Nonostante abbia constatato di persona il livello di inquinamento in alto mare, Catherine Chabaud è ottimista: “Credo nella resilienza. Laddove sono state introdotte soluzioni, quelle aree dell’oceano si sono rigenerate.”

Il suo determinato ottimismo è condiviso da altri esperti in materia, come François Galgani, ricercatore di Ifremer, un’organizzazione specializzata nell’analisi degli effetti dell’inquinamento sugli organismi marini. “Possiamo ancora ripristinare la salute degli oceani entro il 2050? Sì, ma con un impegno forte. Per tornare alla normalità, bisognerà investire molto. Ma, gradualmente, le misure adottate vanno nella giusta direzione, come nel Recovery Plan della Commissione europea. L’obiettivo zero emissioni di carbonio è possibile.” Una delle chiavi per affrontare questa sfida è considerare la percezione pubblica e il modo in cui le persone vengono informate. Il ricercatore fa l’esempio delle fuoriuscite di petrolio. “Le persone sono consapevoli del problema, perché questi eventi hanno un forte impatto visivo e fanno effettivamente impressione. Ma nel complesso, gli incidenti di questo tipo rappresentano meno del 5% degli idrocarburi in mare, e circa cinque anni dopo una fuoriuscita, la situazione torna alla normalità.” Inoltre, il 95% della plastica nel mare è presente sul fondale marino. “Sono ottimista, perché quando il danno è visibile, la gente reagisce e vengono prese misure severe, come il divieto dei sacchetti di plastica, per esempio.” In queste condizioni, la promozione di un’intensa campagna di sensibilizzazione tra il grande pubblico sarà un elemento cruciale, per poter finalmente affrontare la parte sommersa dell’iceberg.

  1. https://ree.developpement-durable.gouv.fr/themes/milieux-et-territoires-a-enjeux/mer-et-littoral
  2. https://www.undp.org/content/undp/en/home/blog/2015/6/8/If-the-oceans-were-a-country-.html
  3. https://www.lesechos.fr/monde/enjeux-internationaux/pollution-des-oceans-les-macros-plastiques-partie-emergee-de-liceberg-1206351
  4. https://www.lesechos.fr/thema/articles/les-quatre-principales-menaces-qui-pesent-sur-lecosysteme-des-oceans-1221782
  5. https://www.oecd.org/environment/the-ocean-economy-in-2030-9789264251724-en.htm
  6. https://www.gefco.net/en/glossary/definition/international-shipping/
  7. https://www.sciencedirect.com/science/article
  8. https://www.cbd.int/doc/publications/cbd-ts-83-en.pdf
  9. https://podcast.ausha.co/voix-durables/1-comment-sauver-l-ocean

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