Le sfide ambientali

L'acquacoltura, una risposta sostenibile alle sfide alimentari?

Pubblicato il 27 giugno 2018

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Entro il 2050, l’industria alimentare dovrà nutrire più di 9,7 miliardi di persone

La domanda è in aumento, mentre l’offerta subisce una doppia pressione. In primo luogo, sotto l’effetto combinato dello sviluppo economico e della rapida urbanizzazione, le diete stanno diventando più diversificate, con un maggiore consumo di proteine di origine animale. E, in secondo luogo, la quantità di terra coltivabile si sta riducendo drasticamente.

Saranno necessari ingenti investimenti in nuove attrezzature e innovazioni per incrementare la produzione futura, ma è anche essenziale lo sviluppo di nuove fonti di produzione come l’acquacoltura.

Negli ultimi 50 anni, l’offerta globale di pesce per il consumo umano è aumentata più rapidamente della popolazione stessa. Il consumo pro capite di pesce è raddoppiato, passando da circa 10 kg negli anni ’60 a 20 kg oggi. Nel 2013, il pesce rappresentava il 17% delle proteine animali nella dieta della popolazione mondiale e il 7% delle proteine totali consumate. Quasi un terzo degli stock ittici è attualmente sovrasfruttato1. Alla luce di tutto ciò, l’acquacoltura è una soluzione sostenibile per nutrire il pianeta?

Che cos’è l’acquacoltura?

Il termine acquacoltura si riferisce a tutte le attività di produzione animale o vegetale in un ambiente acquatico (acqua dolce o salata) e comprende in particolare:

        • Piscicoltura o produzione ittica;
        • Allevamento o produzione di molluschi;
        • Allevamento o produzione di gamberi;
        • Allevamento o produzione di alghe.

        Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), la produzione ittica mondiale ha recentemente raggiunto livelli senza precedenti. Mentre la pesca è rimasta relativamente stabile dagli anni ’80, l’acquacoltura ha contribuito alla forte crescita dell’offerta globale di pesce. Nel 1974, l’acquacoltura rappresentava solo il 7% di tutta la produzione globale, contro il 41% nel 2014.

        La Cina ha una lunga tradizione di acquacoltura e rappresenta attualmente oltre il 60% della produzione mondiale di acquacoltura, davanti a India, Indonesia e Vietnam.

        La Francia, che detiene la seconda area marittima più grande del mondo, fatica a raggiungere lo 0,2%.

        L’UE rappresenta solo il 9% della produzione globale, mentre la regione dell’Asia-Pacifico il 74%, contro il 10% per l’America Latina, il 5% per il Nord America e l’1% per il Medio Oriente e l’Africa.

        Lo sviluppo deve avvenire in modo sostenibile

        Nel 2015, gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno adottato l’Agenda 2030 e i suoi 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) con l’obiettivo di guidare l’azione di tutti i governi, le istituzioni e le aziende a favore di uno sviluppo inclusivo e sostenibile. Numerosi SDG si applicano direttamente alla pesca e all’acquacoltura in particolare. Uno di questi riguarda esplicitamente gli oceani (SDG n° 14: Vita sott’acqua) e un altro, la lotta contro la malnutrizione (SDG n° 2: Sconfiggere la fame).

        Il mercato dell’acquacoltura

        Nel 2017, l’acquacoltura rappresentava un mercato di 176 miliardi di dollari, maggiore del mercato delle carni bovine e si prevede che continuerà ad espandersi del 4,5% annuo, raggiungendo i 220 miliardi di dollari nel 20222. L’acquacoltura è il sottosettore alimentare in più rapida crescita3.

        I ricercatori stimano che 13 milioni di km² di oceani potrebbero essere utilizzati dall’acquacoltura e questa superficie potrebbe consentire la produzione di 15 miliardi di tonnellate di pesce, ovvero 100 volte il consumo mondiale attuale4.

        Oggi il settore è ambito da alcuni grandi attori economici. Ad esempio, nel luglio 2017 Cargill, il colosso agroalimentare statunitense, ha annunciato, in un contesto di forte crescita dell’acquacoltura, la costituzione di una joint venture con Carisa, il secondo produttore di gamberetti dell’Ecuador. Nell’agosto 2017, il gruppo si è ulteriormente ampliato con l’acquisizione per 1,3 miliardi di euro della norvegese Ewos, leader mondiale nel settore dei mangimi per salmoni. Nel 2014, il gruppo giapponese Mitsubishi ha acquisito la norvegese Cermaq, uno dei maggiori allevatori di salmoni del mondo, che fino ad allora era pubblica.

        Alcuni vantaggi evidenti, ma anche molti quesiti ambientali

        L’acquacoltura ha molti vantaggi in linea teorica, il principale dei quali è la lotta contro l’insicurezza alimentare:

            • La produzione è possibile in tutte le zone costiere;
            • Una produzione “3D”, in cui la dimensione della profondità consente di moltiplicare i volumi;
            • Una possibile riduzione delle distanze di trasporto tra le aree di produzione e di consumo producendo localmente, soprattutto perché molte grandi aree metropolitane sono situate sulle coste;
            • Un’alternativa alla pesca eccessiva e alle pratiche che distruggono i fondali marini;
            • Una fonte efficiente di proteine. Poiché i pesci sono animali a sangue freddo e vivono in acqua, usano meno energia per mantenere la temperatura corporea o per costruire la struttura ossea. Ad esempio, le carpe convertono il 30% del loro cibo in proteine, mentre il pollame trasforma solo il 25%, i maiali il 13% e i bovini il 5%5;
            • Nessuna emissione di metano.

            Tuttavia, l’acquacoltura deve affrontare una serie di critiche, tra cui molte legate alle questioni ambientali.

            Accentua la diffusione di malattie ed epidemie. Nel 2007, il Cile, il secondo produttore mondiale di salmoni è stato colpito da un’epidemia che ha fortemente danneggiato le sue aziende di acquacoltura. L’acquacoltura in Cile ha avuto un grande successo, ma non ha beneficiato di un livello adeguato di regolamentazione e controllo per prevenire i rischi biologici. Oltre ad aver subito perdite per circa 2 miliardi di dollari, l’industria cilena ha visto la sua produzione diminuire della metà e ha dovuto licenziare decine di migliaia di lavoratori.

            L’acquacoltura intensiva utilizza grandi quantità di medicinali antibatterici e antibiotici, per ostacolare la diffusione di batteri. I trattamenti utilizzati per combattere le malattie tra animali si diffondono nell’ambiente, con il rischio di creare una resistenza agli antibiotici e l’insorgere di superbatteri che possono causare malattie incurabili.

            Infine, la piscicoltura stessa è una sfida, tra i benefici e gli svantaggi. Molto spesso, i pesci di allevamento (tonno, salmone, carpe, ecc.) sono alimentati con pesci più piccoli. Infatti, per produrre 1 kg di pesce di allevamento sono necessari da 3 kg a 7 kg di pesce pescato in natura, mentre in natura sono necessari 10 kg di pesce per produrre 1 kg di pesce carnivoro. Ma questo apparente guadagno in termini di efficienza nasconde la fortissima pressione esercitata sulle specie più piccole (ad esempio acciughe e sardine), che potrebbero essere consumate direttamente dall’uomo.

            Una buona prassi sarebbe quella di promuovere l’allevamento di pesci erbivori e onnivori. Sono inoltre in corso ricerche per nutrire il pesce attraverso le larve di insetti che sarebbero alimentate con scarti agricoli. Alcuni test6 effettuati in Indonesia hanno dimostrato che occorrerebbero 180 tonnellate di panelli di palma per produrre 60 tonnellate di insetti e quindi 25 tonnellate di pesce.

            La soluzione: l’acquacoltura biologica

            L’acquacoltura biologica è relativamente recente e coinvolge ancora solo un piccolo numero di paesi e di specie, ma sta diventando sempre più diffusa, guidata dalla domanda dei consumatori che sono sempre più sensibili alle questioni ambientali e alle pratiche di produzione responsabile.

            L’acquacoltura biologica rappresenta attualmente circa l’1% dell’acquacoltura europea.

            Le norme per qualificarsi come acquacoltura biologica variano da paese a paese, ma la maggior parte richiede un allevamento di tipo estensivo al fine di limitare gli impatti ambientali, l’uso di mangimi biologici integrati con pesci vivi provenienti da attività di pesca gestite in modo sostenibile, il rispetto della riproduzione naturale e il minor uso possibile di prodotti veterinari. Inoltre, i produttori non devono utilizzare sistemi di ossigenazione per aumentare la produzione o battericidi tossici per la pulizia delle gabbie.

            L’acquacoltura integrata multi-trofica va ancora oltre raggruppando diverse specie, alghe, ostriche e pesci, in modo che possano nutrirsi a vicenda ed essere utilizzate reciprocamente.

            C’è ancora molta strada da fare e la consapevolezza delle problematiche demografiche e ambientali deve passare attraverso tutti gli attori pubblici e privati. Gli obiettivi delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile per il 2030 ci stanno indicando la strada da percorrere.

            — Tegwen Le Berthe, Investimenti ESG e Tematici, CPR AM

            FontiSources:
            1. FAO
            2. Business Wire
            3. FAO
            4. Nature Ecology & Evolution
            5. Brian Walsh, “The End of the Line”, Time, 18 luglio 2011
            6. Institut de Recherche pour le Développement (Francia)

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