Sulla crescita dell’India incombe la questione della sostenibilità ambientale
Il caso della crescita indiana è un esempio dell’ossessione ricorrente dell’occidente nei confronti dei mercati emergenti. I colonialisti del diciannovesimo secolo sognavano imperi lontani che avrebbero portato ricchezze incommensurabili, ma non andò così. In tempi più recenti, guru come Mark Mobius hanno dipinto un quadro idilliaco del potenziale dei mercati emergenti, basato inizialmente su un semplice assunto: da un punto di partenza molto basso, anche piccoli miglioramenti possono portare a tassi di crescita e rendimenti molto solidi.
Pubblicato il 01 aprile 2019
Gli investitori avrebbero potuto trarre vantaggio da questi tassi di crescita a prezzi molto più interessanti rispetto a quelli dei mercati sviluppati. Stava emergendo una nuova visione dello stile di investimento “Value”. Il Giappone ha fatto da apripista e per un certo periodo negli anni ’70 e ’80 era pronto a diventare la più grande economia del mondo. Alcuni ritenevano che il Giappone avrebbe agito da leader e avrebbe guidato i paesi asiatici verso la prosperità. Tuttavia a metà degli anni ’80 è scoppiata la bolla del mercato azionario giapponese, i tassi di crescita non si sono mai ripresi e la maggior parte dei paesi che avrebbero dovuto seguire la sua scia si è persa in altri sentieri di crescita.
L’attenzione verso i mercati emergenti, tuttavia, rimane alta. L’India è salita al settimo posto tra le maggiori potenze economiche del mondo, collocandosi tra la Francia e l’Italia. Il paese ha una struttura demografica giovane e, secondo il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, avrà il maggior numero di giovani del pianeta nel 2020. A gennaio 2018 la Banca mondiale prevedeva che questo paese avrebbe registrato la più grande crescita economica al mondo nel 2019. PwC ha dichiarato che la crisi finanziaria ha spostato irreversibilmente il centro di gravità del sistema finanziario e che l’India, entro il 2050, supererà gli Stati Uniti e diventerà la seconda potenza economica più grande al mondo, dopo la Cina; questo in un contesto in cui le dimensioni dell’economia mondiale sono più che raddoppiate.
Il quadro istituzionale alla base dell’industrializzazione in Europa e Nord America è stato un risultato storico specifico. Non c’è motivo di presumere che possa essere replicato automaticamente altrove. L’industrializzazione europea è stata favorita dalla vicinanza geografica dei principali centri commerciali di Londra, Amsterdam e Parigi. Ha gettato le basi per una solida industria manifatturiera, che rimane l’unica formula comprovata per l’occupazione di massa.
Le economie in via di sviluppo solitamente vedono il passaggio dall’agricoltura al settore manifatturiero. Ma la transizione in India è avvenuta verso il settore dei servizi. Ciò è dovuto in parte alle normative sul lavoro altamente burocratiche. Un’azienda con più di 100 lavoratori deve ottenere l’approvazione del governo per riassegnare o licenziare i propri dipendenti o per chiudere l’attività. Ciò impedisce lo sviluppo di una produzione manifatturiera su larga scala. Di conseguenza, la transizione dei posti di lavoro dall’agricoltura al settore manifatturiero è minima. La maggior parte delle aziende indiane è di piccole dimensioni a causa di questa burocrazia schiacciante. Nel paese mancano enormi fabbriche che producono magliette o telefoni cellulari, a differenza del resto dell’Asia. A parte poche eccezioni, queste aziende non sono abbastanza grandi per poter partecipare alle catene di approvvigionamento mondiali.
L’economia indiana deve creare quasi un milione di posti di lavoro ogni mese solo per soddisfare i requisiti dei nuovi ingressi nel mondo del lavoro. Le stime del governo indicano che in India vengono creati 350.000 – 400.000 posti di lavoro al mese. Il divario è enorme e si accumula nel tempo: se i posti di lavoro non vengono creati in un mese, dovranno esserlo in seguito. L’alternativa è una massa sempre crescente di persone che cercano di sopravvivere nel cosiddetto settore informale. Già oltre il 30% dei giovani indiani sono NEET (non occupati, senza istruzione e senza formazione), secondo l’OCSE1.
L’agenzia Invest India proclama con orgoglio che la distribuzione della ricchezza del paese sta migliorando. In realtà, la crescita economica in India è lungi dal creare un circolo virtuoso di istruzione, competenze e standard di vita più elevati. L’1% più ricco della popolazione detiene il 53% della ricchezza, rispetto al 36,8% nel 2000. In termini di disuguaglianza l’India supera gli Stati Uniti, dove l’1% più ricco detiene il 37,3% della ricchezza. Secondo il British Council, l’India sarà il paese con il maggior numero di laureati al mondo nel 2020. Bangalore è nota per essere la capitale tecnologica dell’India, sede di aziende come Flipkart, Infosys e Wipro, nonché dell’Indian Institute of Science. Tuttavia lo stato di cui Bangalore è la capitale, il Karnataka, ha un PIL pro capite di circa $ 2.400.
Anche le case automobilistiche tedesche hanno riferito di interruzioni della produzione legate al livello del Reno, che hanno aumentato le difficoltà già riscontrate dal settore in relazione al rallentamento della domanda cinese e al cambiamento normativo (WLTP). Duisburg, il principale porto del Reno, ospita sia il più grande centro di ricambi del gruppo Audi sia il centro logistico di Volkswagen.
In un articolo pubblicato di recente, gli economisti Lucas Chancel e Thomas Piketty hanno dimostrato che la percentuale di reddito nazionale appartenente all’1% della popolazione in India ha raggiunto un livello record dalla creazione dell’imposta sul reddito del 19222. Questi dati confutano l’opinione di McKinsey che definisce la classe media indiana “bird of gold”. Il famoso slogan “Shining India”, aggiungono Chancel e Piketty, si riferisce al 10% più ricco della popolazione e non al 40%.
La pesante e radicata burocrazia è un potente ostacolo alle riforme. Narendra Modi, Primo Ministro dal 2014, ha tentato senza successo, nell’agosto 2015, di far approvare un disegno di legge per l’acquisto di terreni con l’obiettivo di migliorare le infrastrutture. Da allora il governo è stato tentato dal cercare di proteggere la sua industria dalla concorrenza straniera.
Le tariffe sui telefoni cellulari ridurranno le importazioni, ma, nel lungo termine, anche le esportazioni saranno penalizzate. L’India ha bisogno delle valute forti dalle esportazioni per rimborsare il suo debito estero, che è salito a circa $ 500 miliardi, quasi un quinto del PIL, di cui oltre il 40% in meno di un anno, secondo The Economist.
L’India si colloca al 60° posto tra le 79 economie in via di sviluppo nell’indice di sviluppo inclusivo del World Economic Forum3. La metà delle città più inquinate del mondo si trova in India. Il paese sta ora intraprendendo uno delle più grandi e veloci processi di urbanizzazione nella storia dell’umanità. Si prevedono circa 200 milioni di abitanti in più nelle città indiane entro il 2030, tutti usufruiranno di nuove strade, automobili ed edifici. Un quadro più realistico del futuro deve tenere conto del tasso di crescita della popolazione, dell’esaurimento delle risorse, dell’urbanizzazione, della deforestazione, dell’aumento delle emissioni di gas serra, dell’uso di energia e della perdita di biodiversità.
Proiezioni di crescita troppo rosee dei mercati emergenti spesso non tengono conto dei contesti infrastrutturali e ambientali e ignorano la questione della sostenibilità. La cosidetta “tragedy of commons” (secondo cui se un bene non appartiene a nessuno ed è liberamente accessibile, vi è una tendenza a sovrasfruttarlo) ha portato alla distruzione dell’ambiente indiano. Secondo l’Environment Performance Index 2018, l’India è il quarto paese peggiore al mondo nella gestione delle tematiche ambientali4. La classifica dell’India è rapidamente peggiorata, dal 141° posto su 181 del 2016. Solo la Repubblica Democratica del Congo, il Burundi e il Bangladesh hanno fatto peggio.
Negli ultimi anni il guru dei mercati emergenti Mark Mobius ha sottolineato l’importanza della governance come criterio chiave per gli investimenti nei mercati emergenti. L’attenzione si è concentrata sul caso dell’India. L’estensione dei suoi stati e territori va dall’enorme Uttar Pradesh, con oltre 200 milioni di persone, ai piccoli territori insulari e alle ex enclavi portoghesi con meno di mezzo milione di persone. Ma sfortunatamente per l’India, alcuni dei suoi stati più grandi sono anche i meno sviluppati.
Ai temi della sostenibilità e dell’approvvigionamento idrico verrà certamente attribuita una priorità maggiore. Le nazioni europee hanno combattuto per secoli prima di stabilire confini e governi stabili in grado di consentire la costruzione delle infrastrutture necessarie per lo sviluppo economico. La lotta che l’India dovrà combattere in futuro riguarderà probabilmente l’accesso all’acqua. Il paese non è riuscito a gestire con successo i servizi di base per la depurazione e il trattamento delle acque, a differenza di altri paesi in via di sviluppo. Circa la metà della città di Delhi non è dotata di fognature. Secondo WaterAid, il 70% delle acque superficiali in India è contaminato. Ciò, insieme al peggioramento della qualità dell’aria e del suolo, può produrre una crisi ambientale senza precedenti. Greenpeace riporta che nel 2015, per la prima volta, la popolazione indiana in media è stata soggetta a un livello di inquinamento atmosferico superiore rispetto a quello della Cina. Le aree più povere del paese tendono ad essere anche le più colpite dal punto di vista ambientale, con terreni erosi, corsi d’acqua inquinati e foreste degradate.
Non vi è dubbio che l’India sperimenterà una forte crescita nei prossimi decenni. Le aziende innovative che forniscono soluzioni alle numerose sfide ambientali e infrastrutturali che l’India dovrà affrontare rappresenteranno interessanti opportunità di investimento. L’OCSE raccomanda all’India di destinare una quota maggiore della sua spesa pubblica alle infrastrutture e alle tematiche sociali.
Il mondo intero trarrebbe beneficio da un’India più pulita e verde e può contribuire a questo abbassando i tassi di interesse sui prestiti per finanziare la sua transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio; il governo ha l’obiettivo di vendere solo auto elettriche entro il 2030. Una cosa è certa, il successo o il fallimento dell’India nell’elevare il tenore di vita dei suoi cittadini proteggendo l’ambiente contribuirà a determinare il futuro di tutti noi. Inoltre, l’India e gli altri paesi emergenti rappresentano un enorme potenziale per le aziende in grado di fornire servizi e gestire infrastrutture urbane più efficienti e più pulite.
— Team di Strategia, CPR AM